Futura - Corriere della sera

Newsletter #199 | 18 settembre 2020

La terra di cui siamo fatti

Il Molise, tenuto insieme da un anello di nozze  

Emanuela Giacca

Quella volta la casa restò vuota, era ancora in piedi, sì, ma vuota. Mio padre l'aveva disegnata con precisione metodica, così fa tutte le cose, con calma e precisione. Eppure quel giorno, di tutta fretta, è in una roulotte che si sono dovuti vestire, in una roulotte mia madre si è fatta i capelli, senza nemmeno uno specchio per potersi guardare. Ogni sposa si cerca le sue ansie ma mia madre si è proprio superata: sarebbe potuto venire giù tutto da un momento all'altro. Era bellissima ma nemmeno la bellezza poteva nasconderlo, nelle foto vedo la sua faccia giovane percorsa da un terrore ancestrale. Mio padre sorrideva, le teneva la mano, e ora che sono grande mi domando come ci sia riuscito:

come sia riuscito dal nulla a fare una vita intera.

Era il 1984, il mese di maggio, uno dei terremoti più catastrofici sferzava i suoi colpi sul Centro Italia, fra l'Abruzzo, il Lazio e il Molise, finendo per convergere nel mio comune, un punto microscopico nell'universo, un paesino di millequattrocento anime in cui cantavano le cicale.

Mentre i miei genitori si sposavano la Terra si assestava sul suo ventre.

Il matrimonio fu celebrato fuori dalla chiesa: un'unione suggellata sullo squarcio di una faglia, un anello d'oro teso fra le viscere della Terra, a bloccarne le oscillazioni.

Ho sempre rivestito l'unione dei miei di questo valore simbolico, sciamanico, di dover sanare le fatalità del mondo. Non avrebbe fatto altro che ricostruire, mio padre, aggiustare con pazienza quello che l'entropia avrebbe rotto, per il resto della sua vita, tendere un'ala di serenità su ogni faglia che si sarebbe aperta. Non avrebbero fatto altro mia madre e mio padre, non l'avrebbero mai dato a vedere.

Credo di essermela portata ovunque quella frattura, di essere nata con una faglia nel cuore. Quel moto di oscillazione non si arresta, è un'aspirazione profonda, tellurica, a tornare nel giardino di casa, a rivivere il suo immaginario: margherite, querce e l'incedere solido dei giorni, una luce innaturale, mediterranea, che s'incunea nelle persiane. I miei genitori sono riusciti a proteggermi contro il male più grande: la mancanza di buon gusto, la carenza d'ispirazione. «Qua si mangia e si muore»: mio padre ironizza quando lo chiamo ed è all'ennesimo funerale.

Oggi foglie di alloro crescono nella siepe in giardino, beviamo l'infuso ogni sera in queste vacanze estive, li costringo a guardare Breaking Bad dall'inizio alla fine.

Non è mai troppo caldo per una tisana, in Molise ogni notte è una notte vera: fredda, ululante, piena di stelle. Sì, ogni sera dal nostro giardino si vedono le stelle, una sfera sfavillante di barlumi, così tante non ne ho ritrovate da nessun'altra parte. E poi si sente il rumore del fiume, si sentono il fluire dell'acqua e il gracchiare delle rane, c'è una cascata che sembra uscita da una favola e non l'avevamo mai vista.

Il Molise è terra per le mie radici, una bellezza pigra, selvaggia, che non si è ancora guardata allo specchio. Attendo il tempo in cui lo farà, al tempo stesso lo temo. In questo baule di stelle abbiamo stipato le nostre cose migliori, i ricordi dei viaggi e le vetrate del salone, i libri, quel regalo del matrimonio: tazze rosa di porcellana da cui mia madre non mi lascia bere, perché io rompo tutto quello che tocco.

Conserviamo tutto in attesa di qualcosa, un futuro che poi non vediamo arrivare, forse perché non esiste una sola cosa al mondo che, una volta accaduta, possa sembrarci abbastanza.

Aspettavo il giorno in cui i miei genitori si sarebbero goduti un po' la vita, hanno messo sempre noi al primo posto e questo è un pensiero che i figli non possono sopportare. Da giovane non ci pensi ma poi in un attimo succede di tutto e la vita subisce un'accelerazione. Succede che vedi piangere tuo padre, ha i capelli morbidi come quelli di un bambino. Suo fratello è morto e tu non puoi farci niente, senti parole che non avresti voluto sentire, il filo delle giornate si aggroviglia fino a farti soffocare. Allora provi a opporre parole a parole, a trovare le parole giuste per farglielo capire: hai bisogno della sua ala, ora più di prima. Ne ha bisogno tua sorella, ne ha bisogno tua madre - come nel giorno del matrimonio, una mano stretta per non sentire la paura, i piedi saldi sulla terra che trema.

C'è una sequenza sussultoria che non si può arrestare.

La vita è impassibile e io ho non ho che una penna da cui sgorgano parole, una matita che riversa immagini da non so dove e, credimi, non c'è altro che possa fare.

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